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Le nostre Medaglie d'Oro

Pietro Cella

Bardi (Parma), 9 marzo  1851

Monte Rajo di Adua, 1° marzo 1896

 

Durante l’anno 1851 a Bardi, allora parte integrante del Ducato di Parma Piacenza e Stati annessi, provincia di Valditaro, nasceva dal caporale sottoguardia del  Genio, Giuseppe Cella e dalla cucitrice Giuseppina Addoli, Pietro, quarto figlio dopo Maria, Antonio e Carlo. Dal collegio militare di Colorno, nel quale il giovane Pietro entrò a otto anni e dal quale fu rimandato alla famiglia al compimento dei quindici anni perché ritenuto fisicamente non adatto al servizio militare, passò a quello di Racconigi ove compì gli studi. Si arruolò volontario nell’esercito il 20 febbraio 1872 e prestò servizio prima al Distretto Militare di Piacenza, poi a quello di Palermo, ove conseguì il grado di caporale, sergente e quindi di furiere. Il 30 luglio 1877 fu ammesso alla Scuola Militare di Modena e il 31 luglio 1879 ottenne la nomina a sottotenente di fanteria nel 37° reggimento.

 

Trasferito nei battaglioni alpini del 6° reggimento con la promozione a tenente, nel dicembre 1885 fu assegnato al 10° battaglione del 4° reggimento. Le vicende del Corpo lo portarono da un settore all'altro della frontiera. Promosso capitano l’8 aprile 1888 fu nuovamente assegnato al 6° reggimento alpini a Verona dove rimase fino al 20 dicembre 1895.

 

Destinato al comando della 4^ compagnia del 1° Battaglione Alpini d’Africa al comando del tenente colonnello Davide Menini, sbarcò a Massaua il 29 dicembre 1895 e raggiunse la località di Adigrat dove rimase in attesa di ordini. Nella notte tra il 28 febbraio e il 1° marzo 1896 Cella condusse la sua compagnia, che faceva parte con l’intero battaglione della 3^ brigata di fanteria al comando del generale Ellena (di riserva), dalle alture di Adi Dichè verso Rebbi Arenni. Alle ore 11 del 1° marzo, per l’improvviso incalzare degli avvenimenti, il Cella, che faceva parte della 4^ compagnia, ricevette l’ordine di portarsi alle falde del monte Rajo a difesa, con la 3^ compagnia, di quelle posizioni. Quale ufficiale più elevato in grado Cella assunse la direzione tattica dei due reparti..

 Sono un posto ideale per raccontare una storia e condividerla con i tuoi utenti. Raggiunta la posizione designata sul Colle Erarà le due compagnie si trovarono subito impegnate ma tennero ben salda la posizione sotto l’incalzante minaccia nemica. Nella lotta Pietro Cella fu animatore instancabile per rincuorare i suoi alpini al combattimento, per assistere i feriti e tenere saldamente la posizione. Giunto l’ordine di ripiegamento, e nel supremo e disperato tentativo di proteggere i superstiti, si prodigò nel combattimento e scomparve nella mischia. Colpito da una palla di piombo di un fucile abissino cadde di fronte al nemico con l’arma in pugno.

La medaglia d’oro al Valor Militare concessagli alla memoria pubblicata nel Bollettino Ufficiale del 1899 dispensa n° 1 marzo 1896 pagina 174 dice nella motivazione:
“Comandante delle compagnie alpine 3^ e 4^ distaccate sulla sinistra dell’occupazione del monte Rajo, le tenne salde in posizione contro soverchianti forze avversarie finchè furono pressochè distrutte, e combattendo valorosamente lasciò la vita sul campo prima di cedere di fronte  all’irrompente nemico.  Adua (Eritrea) 1° marzo 1896”.

Pietro Cella fu il primo alpino decorato di medaglia d’oro al Valor Militare.

L’amministrazione comunale di Bardi, nel 1901, a ricordo del sacrificio del capitano Cella e di altri due concittadini: i fanti Francesco Rabaiotti e Lazzaro Resteghini, pose a ricordo sul Palazzo Comunale una lapide con incisi i nomi degli eroi caduti ad Adua. Nel 1916 il Comune di Bardi dedicò al suo valoroso capitano anche la via Maestra della cittadina e la scuola elementare del capoluogo.

Per onorare il suo sacrificio ed a futura memoria anche la città di Parma, che all’atto di nascita di Pietro Cella era la capitale Ducale che gli diede i natali, gli dedicò una via.Analogo riconoscimento gli venne tributato dalla città di Piacenza in quanto il territorio comunale di Bardi, all’atto della morte del capitano Cella, era sotto la sua provincia. 

 


 

Paolo Racagni


Parma, 5 dicembre 1888

Corno di Rosazzo (Udine), 26 maggio 1917

 

Figlio del generale Camillo e di Maria Luisa De Luchi, iniziò gli studi presso la nostra città. Studente d’ingegneria al Politecnico di Torino ottenne il diploma di ingegnere e architetto e volle essere soldato non appena scoppiata la guerra nel 1915. Volontario al battaglione alpini Pinerolo del 3° reggimento, in merito al suo titolo di studio ottenne rapidamente la nomina ad ufficiale.
Nella primavera del 1916, alla formazione dei battaglione alpini “monte”, venne destinato tenente al battaglione Moncenisio sempre del 3° reggimento. Partecipò con il nuovo battaglione ai numerosi combattimenti nel settore dell’alto Chiarzò, dell’alto But, del Pal Piccolo e per la conquista della regione del Vodice nell’ambito della 10^ battaglia dell’Isonzo.

Il tenente Racagni che comandava una sezione mitragliatrici del battaglione alpini  Moncenisio prese parte attiva ai combattimenti riportando diverse ferite che ne causarono la morte presso l’ospedaletto da campo n° 036 a Corno di Rosazzo.

 

Paolo Racagni venne decorato di medaglia d’oro al Valor Militare con la seguente motivazione riportata nel Boll. Uff. anno 1918, disp. 67^:

“Fulgido esempio di fermezza, di coraggio e di ogni più eletta virtù militare, quale comandante di una sezione mitragliatrici, operando di propria iniziativa, seppe tener testa a forze nemiche di gran lunga superiori. Ferito ben tre volte in breve tempo, rimase al proprio posto, rinunciando a farsi medicare. Ferito una quarta volta alla gola e portato   al posto di soccorso, non appena medicato tornò sulla linea del combattimento, ove, con mirabile eroismo, manovrando egli stesso un’arma, inflisse ingenti perdite all’incalzante avversario. Mentre in tal guisa eroicamente operava, venne nuovamente e mortalmente colpito. Spirò serenamente poco dopo. Selletta Vodice,  19 maggio 1917”.

La Sezione di Parma dell’Associazione Nazionale Alpini fondata nel 1921 è   titolata alla medaglia d’oro al Valor Militare tenente Paolo Racagni .

Per ricordare il suo sacrificio e mantener vivo il suo ricordo la città natale gli dedicò una via ed una scuola.

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Giuseppe Rossi


Parma, 6 maggio 1921

 Seleny Jar (fronte russo), 16 gennaio 1943

 

Per motivi di lavoro del padre si trasferì agli inizi degli anni trenta a Fiume, diventata poi ufficialmente italiana con il Patto di Roma del 1924. Giuseppe Rossi compì gli studi presso il Regio Istituto Tecnico superando l’esame di ammissione alle superiori nell’estate del 1936. In quell’anno fece rientro a Parma iscrivendosi al Regio Liceo Guglielmo Marconi ottenendo la maturità scientifica il 30 maggio 1940. Nel mese di giugno, con l’entrata in guerra dell’Italia, Rossi formulò la domanda di ammissione ad allievo ufficiale venendo ammesso all’Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena dove ebbe come compagno al corso allievi ufficiali il nostro Past President  Leonardo Caprioli.

 

Il 27 marzo 1942 venne nominato sottotenente in servizio permanente effettivo e destinato al servizio di prima nomina all’8° reggimento alpini battaglione Gemona Divisione Julia che, nell’agosto del ’42, partì per il fronte russo dove Rossi, comandante del II° plotone, mentre combatteva animatamente venne ferito due volte in breve tempo senza però voler lasciare il suo reparto. La morte lo colse dopo lo scoppio di una granata. Per il coraggio, la tenacia e lo spirito di sacrificio dimostrati durante i combattimenti a Seleny Jar il 16 gennaio 1943 Giuseppe Rossi venne decorato di medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

Questa la motivazione della massima onorificenza al Valor Militare pubblicata sul Bollettino Ufficiale del 1948 Dispensa 2^ pag. 164:”Comandante di plotone fucilieri assegnato a difendere un importantissima posizione, investita da preponderanti forze nemiche arginava l’attacco e contrattaccava con estrema  violenza e decisione. Ferito;  rifiutava di essere medicato continuando impavido l’azione. Ferito una seconda volta rifiutava  ogni cura per rimanere alla testa del reparto dove più ferveva la lotta. Solo quando l’attaccante era respinto si faceva medicare, ma non lasciava il comando del plotone, malgrado l’ordine del medico di riparare in luogo di cura. Avendo il nemico ripreso l’attacco ritornava in linea, ed ancora una volta con indomito coraggio e spirito di sacrificio, reso più evidente dal sangue che gli arrossava le recenti bende, incitava i suoi alpini, riuscendo con nobile esempio a galvanizzare la resistenza ed a respingere l’avversario finchè un colpo di pezzo anticarro ne troncava la fulgida esistenza. Magnifica figura di eroico soldato. Seleny Jar (fronte russo), 16 gennaio 1943”. Il suo corpo non fu mai ritrovato ed il suo nome figura tra l’elenco dei parmigiani dispersi della tragica campagna sul fronte russo. Oggi il Gruppo alpini di Parma è intitolato a lui come una via nel centro della città. Una lapide a perenne ricordo venne collocata nell’atrio del Liceo Scientifico Marconi (dove Rossi si era diplomato) in via Costituente nel maggio del 2005 durante le manifestazioni della 78^ Adunata Nazionale di Parma.

 

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Vittorio Bottego


Parma,  29 luglio 1860

 Daga Roba, 17 marzo 1897

 

Nato da Agostino, medico condotto originario di Albereto, e dalla genovese Maria Accinelli, trascorse la prima fanciullezza a Olmo di Gattatico, nel reggiano, ove il padre aveva acquistato un fondo agricolo. Tornò quindi a Parma per seguire gli studi che interruppe alla prima classe del liceo. Preparatosi poi privatamente, superò l’esame di ammissione all’Accademia Militare di Modena, frequentando successivamente la Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio di Torino e la Scuola di Applicazione di Pinerolo, donde uscì con il grado di tenente di artiglieria. Nel 1887, quando frequentava il corso a Pinerolo, il Bottego ottenne di far parte del Corpo di Spedizione di ufficiali destinato in Eritrea.Sbarcato a Massaua nel novembre, fu assegnato alla prima batteria del corpo speciale volontari e successivamente alla 2^ batteria indigena d’artiglieria da montagna ma, nel contempo, si dedicò allo studio degli aspetti geografici e naturalistici del paese raccogliendo oggetti e reperti di vario genere destinati alle collezioni del Museo di Storia Naturale di Parma, approfondendo anche i propri studi di astronomia, di botanica, di mineralogia e di tecnica fotografica. Numerose anche le spedizioni in Africa. La morte lo raggiunse in Etiopia nel marzo del 1897 in una delle sue spedizioni. Accampato sull’isolato colle di Daga Roba, nei pressi di Gidami, il Bottego tentò di aprirsi la strada con la forza ma nello scontro con le soverchianti forze nemiche cadde colpito a morte.

La città di Parma dedicò al suo figlio un viale, un ponte sul torrente che attraversa la città, una scuola ed un artistico monumento, opera dello scultore Ettore Ximens, posto nel piazzale della stazione ferroviaria ed inaugurato il 26 settembre 1907. Una lapide venne collocata sulla fronte della casa natale al n° 29 di via Vittorio Emanuele oggi via della Repubblica.

La Patria conferì alla memoria dell’esploratore parmigiano la medaglia d’oro al Valor Militare perchè:

“Dimostrò sagacia ammirevole nel dirigere una spedizione scientifico militare, nell’Africa Equatoriale attraverso paesi inesplorati e fra popolazioni ostili e bellicose e spiegò eccezionale coraggio attaccando con solo 86 uomini un nemico forte di un migliaio di combattenti e morendo eroicamente sul campo ferito al petto ed alla testa da due colpi d’arma da fuoco. Daga-Roba (Paesi Galla), 17 marzo 1897”.

 

Rolando Vignali


Vigatto (Parma), 24 novembre 1920

 loc. Molino di Pozzolo, Bore (Parma), 14 luglio 1944

 

Figlio di Artemio e di Orighi Santa. La famiglia da Vigatto si trasferì a Salsomaggiore quando il giovane Rolando era ancora in età scolare. A Salsomaggiore Rolando compì gli studi elementari ed il 1° avviamento iniziando il lavoro di verniciatore. Rispose alla chiamata alle armi il 13 gennaio 1941; venne destinato all’8° reggimento alpini battaglione Val Fella quindi, giunto ad Udine, al battaglione alpini Gemona bis sempre dell’8° reggimento. Il 6 aprile 1941 partì per il fronte greco-albanese con i complementi a rinforzo del battaglione Gemona. Rimpatriato con la divisione alpina restò in servizio a Udine presso il Deposito dell’8° alpini, il 10 gennaio 1943 venendo promosso caporale e quindi a febbraio aggregato alla Scuola Militare Alpini di Aosta e successivamente al battaglione Gemona presso il distaccamento di Tarcento (UD). Sbandatosi in seguito agli avvenimenti sopravvenuti all’armistizio dell’8 settembre 1943 rientrò il 16 settembre nella sua Salsomaggiore. Vignali si rifiutò di adeire all’esercito della Repubblica Sociale Italiana e si dò alla macchia in montagna. Il 1° giugno del 1944 si arruolò volontariamente nella 31^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Forni” operante nei vicini comuni di Pellegrino P.se e Bore con il nome di battaglia di “Kruger”.

 

Qui, dal 13 giugno 1944, assunse la qualifica di capo-squadra e dal 3 luglio venne promosso comandante di distaccamento partigiano.
Il raggruppamento o battaglione“Forni” di stanza a Metti, il 13 luglio a Bardi ebbe il compito di ritardare con attacchi di guerriglia le colonne di truppe tedesche e di brigate nere. I primi scontri si ebbero in serata e con le prime luci dell’alba del 14 luglio. La resistenza però fu vana in quanto troppo preponderanti erano le forze dell’avversario. Nello scontro Vignali rimase ferito ad una gamba; gli venne offerto di arretrare in posizione più sicura ma rifiutò. “Kruger” chiese soltanto di essere coperto in qualche modo da frasche e sterpi perché lo rendessero meno visibile ai colpi del nemico e continuò come gli altri a combattere. Lì in quel luogo, finita la battaglia, lo ritrovarono dissanguato. 
Con decreto Presidenziale del 21 marzo 1970 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 27 maggio 1970 veniva concessa alla memoria di Rolando Vignali “Kruger” la medaglia d’oro al Valor militare con la seguente motivazione:

“Comandante di distaccamento partigiano fatto segno a preponderante attacco nemico, affrontava il micidiale fuoco con coraggiosa determinazione e alta capacità sostenendo a lungo l’urto avversario. Ripetutamente colpito, rifiutava l’assistenza dei commilitoni per non indebolire la difesa, inducendoli invece a perseverare nell’impari lotta, finchè cadeva da prode, chino sulla sua arma. Fulgido esempio di eroismo e di amor patrio. Località Luneto (Parma), 14 luglio 1944”. Il suo corpo riposa nella Cappella eretta in onore dei caduti partigiani nel cimitero di Salsomaggiore Terme.

 

 

 

Eugenio Banzola


San Pancrazio Parmense (Parma), 6 maggio 1924

Felino (Parma) 14 marzo 1945

 

Figlio di Ottorino e Ghirardini Maria. Primogenito di una numerosa famiglia contadina, aveva quattro fratelli. Dopo aver compiuto gli studi elementari iniziò ad aiutare la famiglia nel lavoro dei campi e nella cura del bestiame. Si trasferì quindi nella frazione di Manzano di Langhirano dove la famiglia aveva assunto la conduzione di un fondo a mezzadria. Il 17 agosto del 1943 fu chiamato alle armi come soldato di leva e giunse a Tarcento (Udine) al Deposito dell’8° reggimento alpini dove venne inquadrato nel battaglione alpini Gemona. 

Sbandatosi a seguito agli avvenimenti sopravvenuti all’armistizio dell’8 settembre 1943 fece ritorno a casa riprendendo il lavoro nei campi. Con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana fu richiamato alle armi nel febbraio 1944 a seguito del “bando Graziani” ed arruolato nel 131° battaglione Genio Lavoratori con sede a Parma destinato alle retrovie del fronte di Cassino. Il reparto, formato da ex renitenti di leva forzosamente arruolati, non aveva in dotazioni armi, ma picconi e badili e fu impegnato nel lavoro di ripristino delle linee ferroviarie continuamente colpite dai bombardamenti alleati.


 

 

Nel luglio del 1944 appena si presentò l’occasione, Eugenio, con un gruppo di amici, si allontanò volontariamente dal reparto e tornato a casa iniziò dal settembre una collaborazione attiva con una formazione partigiana che operava nella Val Parma: la 3^ brigata Julia.

A seguito del tragico combattimento di Bosco di Corniglio (Parma) del 17 ottobre 1944 dove trovò la morte il Comandante Unico di tutte le forze partigiane della provincia di Parma: Giacomo di Crollanza, nome di battaglia “Pablo”, il comando della IV^ brigata Giustizia Libertà agli ordini di Ennio Bernardi “Franco” cambiò denominazione in “brigata Pablo” a ricordo del sacrificio del comandante di tutte le forze partigiane del parmense.

Eugenio Banzola assunse il nome di battaglia di “Ricci” ed entrò a far parte della Pablo  partecipando attivamente al movimento di Resistenza nella Val Parma. Il 13 marzo del 1945 un attacco improvviso da parte delle truppe tedesche e repubblichine sorprese un avamposto partigiano in località Cuccarello nei pressi di Casatico di Langhirano. I partigiani, fra cui anche Banzola, guidati dal comandante del distaccamento (C. Battioni) organizzarono una strenua resistenza, tentando anche un contrattacco, con lo scopo di permettere al resto della formazione di attestarsi su posizioni più favorevoli; la lotta fu impari, le munizioni si esaurirono rapidamente, e gli uomini della Pablo furono costretti a ripiegare. Durante l’azione Enzo Ubaldi “Nappo”cadde colpito a morte ed Eugenio venne ferito alle gambe, catturato e portato a Felino nella sede dei reparti repubblichini ed interrogato per tutta la notte.

Nella motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla Memoria” che gli venne concessa con decreto del Presidente della Repubblica il 6 luglio 1976 è espresso crudemente l’epilogo della sua giovane vita:

“Partigiano combattente, dopo aver per lungo tempo collaborato  con il movimento di resistenza  della provincia di Parma, si arruolò nella brigata “Pablo”. Nel corso di un violento scontro sostenuto da pochi partigiani contro le forze nemiche consistenti in centinaia di uomini, dopo essersi lanciato coraggiosamente per ben due volte al contrassalto, veniva gravemente ferito alle gambe da una raffica di arma automatica. Immobilizzato, continuava  a combattere finchè, esaurite le munizioni e scagliate sull’avversario le ultime bombe  a mano, veniva sopraffatto e catturato. Veniva interrogato per un’intera notte, nel corso della quale allo strazio delle ferite, l’avversario inferocito, per strappargli i nomi dei compagni e notizie sulle formazioni partigiane, aggiungeva  il martirio di altre orrende sevizie. Irrigidito in uno stoico ostinato silenzio, affrontava serenamente la tortura  e la morte pur di non tradire. L’immagine del suo corpo denudato, legato brutalmente evirato  e stroncato dall’ultima rabbiosa raffica rimase ad indicare vergogna per gli aguzzini traditori ed un riferimento di luce sulla vita  per l’affermazione dei supremi valori di libertà. Felino (Parma), 14 marzo 1945”.

Il giovane modesto contadino aveva mantenuto fede agli ideali di libertà e di giustizia in cui credeva: non aveva tradito i compagni.

Il suo corpo riposa nel cimitero della piccola frazione di Casatico di Langhirano (Parma).

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Signore delle cime

Coro Monte Orsaro

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